Messaggero Veneto, 23 febbraio 2010. Leggo in ritardo le considerazioni che mi trasmette il signor Fabrizio Barbarino sulla questione “resiana”. Mi si consenta ancora una breve replica. Devo ammettere in effetti che da non resiano faccio forse fatica a comprendere la problematica nella sua interezza. Quello che mi appare stridente tuttavia non è tanto il contenuto delle cose, quanto la forma con cui sono espresse. Ogni piccolo cavillo o elemento di discussione, seppur non affatto attinente, richiama l’intransigente monito dei purissimi custodi della lingua e dell’identità, quasi fosse un perenne tormento che non vi fa pensare ad altro durante il giorno e dormire durante la notte. Sulla questione nel merito osservo, da profano, vi definite di origine slava, ma assolutamente non sloveni, d’accordo, ma senta Barbarino, chi sono gli slavi più vicini a noi, gli ostrogoti?, gli unni? No, semplicemente gli sloveni, ammetterlo non è essere traditori o comunisti. Così è anche se a voi non pare, direbbe Pirandello. Vede io penso invece che tutta la questione rasenti terribilmente il pregiudizio “ideologico”. Credo anche che se i Muri sono caduti tutti quanti, a Berlino così come a Gorizia, quello di Resia qualcuno continui a volerlo ben alto e solido per logiche e interessi che poco hanno a che vedere con la realtà vera anche della gente che ancor vive in quella meravigliosa valle. Talvolta a sentire certi linguaggi, anche sul web, par davvero che Resia voglia rimanere ancora come sulla linea del trentottesimo parallelo che divide Pierpaolo Lupieri
Tolmezzo
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