BK Evolution, primi classificati nella selezione territoriale “Italia
Nord Est 1” di Spilimbergo (tenutasi il 14 marzo scorso), suoneranno
nel corso di Folkest in Festa, la grande kermesse che come ogni anno
chiuderà l’edizione 2012 di Folkest. In attesa di poterli ascoltare dal
vivo, una breve intervista per conoscerli meglio.
Il vostro è un nome
particolare, quasi una sigla che riassume diversi concetti. C’è un
messaggio dietro la scelta di chiamarvi così? E perché la scelta
dell’inglese?
La realtà è in questo caso molto più
banale di quanto si possa immaginare. La nostra band è infatti
emanazione di un gruppo vocale (che ha fatto molto uso di
accompagnamento strumentale) attivo dal 1997 al 2007 con il nome
Beneške korenine. Korenine vuol dire radici, mentre Beneške
è l’aggettivo che fa riferimento alla Slavia veneta, quella che oggi
più propriamente diremmo Slavia friulana ovvero quel territorio
confinante con la Slovenia dove vive la comunità linguistica slovena
della provincia di Udine. Le vecchie BK, costituite da ventenni con una
spiccata vocazione per repertori originali e moderni, hanno sempre
voluto mantenere un forte e chiaro legame con le proprie origini. Una
volta terminato il proprio ciclo naturale, alcuni elementi del gruppo
hanno voluto dare continuità al progetto, dando progressivamente più
peso alla parte strumentale e aggiungendo al nome la parola evolution.
E nel farlo non sono stati presi da improvvisa e irresistibile
anglofilia, ma piuttosto da un messaggio intrinseco nella filosofia
della band: parlare al mondo nella propria lingua cercando di farsi
capire da tutto il mondo. Il perseverare nell’uso della propria lingua
madre è da molti ritenuto un’inutile perdita di tempo: noi invece
vogliamo affrontare modernamente l’argomento, ripulito da retaggi
nazionalistici e demagogici, e sottolineare l’importanza vitale della
padronanza di più lingue, ad iniziare da quella del cuore. Vogliamo,
insomma, afferrare tutto ciò che sta tra la nostra lingua materna, che
rappresenta la nostra intimità e ciò che ci fa sentire in qualche modo
speciali, e l’inglese, metafora del mondo odierno della capacità
comunicativa e dell’apertura mentale.
Da quando siete attivi come
gruppo e come vi siete formati? Quanto i percorsi individuali dei
singoli componenti hanno influito sulla creazione di un suono
d’insieme? Presentatevi a chi ancora non vi conosce…
L’odierna formazione è attiva dal 2008.
La band ha iniziato il suo percorso partendo da un progetto per la
manifestazione Postaja Topolove-Stazione di Topolò, realizzato in
collaborazione con la sede RAI di Trieste, ed in particolare con Marija
Brecelj, programmista delle trasmissioni in lingua slovena. Da tale
occasione sono scaturiti altri progetti, tra i quali la realizzazione
del primo cd (registrato proprio negli studi RAI di Trieste), e
soprattutto la voglia di proseguire. Di grande importanza è stato anche
il fatto che in una realtà come le valli del Natisone non esistesse più
da tempo una formazione stabile nel campo della musica pop. I BK
evolution si sono preoccupati anche di questo facendo da volano alla
nascita di una serie di band giovanili, alle quali hanno spesso fatto
da supporto mettendo a disposizione i propri spazi e strumenti, nonché
l’esperienza. I componenti dei BK, infatti, pur avendo scelto un genere
“facile” sono musicisti che si sono formati nel centro musicale sloveno
Glasbena matica di San Pietro al Natisone. Alcuni di loro sono
diplomati in conservatorio, altri sono vicini a questo risultato. Metà
del gruppo ha un’età prossima ai quarantanni, l’altra metà ha appena
superato i venti: e forse questo felice connubio ha contribuito alla
creazione di un repertorio fatto di equilibrio tra dinamismo, ricchezza
di idee, sobrietà e eleganza.
Presentate il vostro spettacolo, gli strumenti e il loro ruolo, i musicisti e il repertorio…
Il nostro spettacolo, come d’altronde i
nostri cd, sono un misto di musica etnica, pop e citazioni colte. Gli
autori dei pezzi sono il cantante Igor Cerno ed il pianista Davide
Clodig. Alla musica più esuberante e schietta del primo si contrappone
quella più intimistica e riflessiva del secondo. Ciò che però unisce
entrambi è il tendenziale uso di strumenti acustici, con qualche
inserto più aggressivo di chitarra elettrica (Alessandro Bertossin),
tra i quali predominano in un quasi costante dialogo il pianoforte e la
fisarmonica (Stefania Rucli), sostenuti dall’eclettico basso di Davide
Tomasetig e dalla batteria (Luca Clinaz). Altra costante, come già
accennato, è l’uso delle varianti locali della lingua slovena nei
testi. Nella musica dei BK ci sono chiari riferimenti a tradizioni
musicali popolari (non necessariamente ed esclusivamente slovene), ma
soprattutto la necessità implicita di emanciparsi da una
caratterizzazione esclusivamente folkloristica della lingua o del
dialetto.
I BK evolution hanno in repertorio due
cd, il primo dei quali dedicato al cantautore Kekko Bergnach e alle sue
canzoni, rivisitate per l’occasione in veste acustica. Il secondo,
invece, s’intitola Jablen (Il melo) e contiene canzoni originali del
gruppo.
Punto fisso iniziale è stato l’uso
quasi esclusivo di strumenti acustici. Oggi c’è qualche inserto in più
di chitarra elettrica, sebbene la fisarmonica e il pianoforte siano
sempre punti fissi.
Quanta tradizione c’è in quello che suonate e quanta composizione?
Il vantaggio di provenire da una terra
con un forte disagio economico, che ha conosciuto una fortissima
emigrazione e che vive nell’incubo dell’abbandono, è di aver mantenuto
più vive che altrove le tradizioni. E nella tradizione popolare la
musica è regina. Non di rado si sente ancora la gente cantare in cori
improvvisati o ballare al semplice suono di una fisarmonica, nei luoghi
o nei momenti più inaspettati. E questa cosa si rispecchia anche nelle
nostre canzoni: la tradizione non è cercata, ma solo un’inevitabile
conseguenza. Infatti, nel nostro repertorio trovano spazio anche pezzi
senza particolari richiami etnici. Poi però succede che in fase di
orchestrazione anche il brano con caratteristiche più lontane dalla
musica popolare si vesta di sonorità folk in virtù degli strumenti che
usiamo e soprattutto di noi stessi, del nostro vissuto e del nostro
modo di sentire la musica.
Voi amate collaborare con
altre espressioni artistiche del vostro territorio, in particolare
quelle letterarie. Che significato ha per voi questo tipo di
collaborazione?
Il senso è quello di valorizzare una
realtà misconosciuta, di creare una rete di collaborazione tra artisti
che, in fondo, partecipano tutti, magari senza saperlo, a un progetto
comune, che è quello di far apparire possibile ciò che la storia, la
politica o l’economia ci dicono impossibile. Non abbiamo mai sentito
dire da nessuno che le valli del Torre o del Natisone non siano posti
bellissimi. Poi però il senso di appartenenza a questi luoghi si rivela
molto più scarso delle aspettative. Eppure ci sarebbe un bel modo di
vivere il nostro territorio, un modo che solo menti più fini hanno
capito e cercano di trasmettere attraverso la poesia dei loro scritti o
l’audacia dei loro progetti. Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di
farci – se non altro – portatori di queste idee. E poi è comunque bene
scrivere canzoni su testi validi, scritti da chi lo sa fare meglio di
noi.
Rappresentare una minoranza
etnica ancora quasi sconosciuta al pubblico più vasto è per voi uno
stimolo o qualche volta rappresenta un vincolo troppo forte?
Ammesso che noi la rappresentiamo, non
sentiamo nessun peso di questo tipo. Anzi, ci diverte il fatto di
esprimerci con tanti decibel in una lingua di minoranza che soprattutto
nel secolo scorso molti hanno cercato di far tacere.
Partecipare a un concorso come
“Suonare@Folkest”, cioè essere giudicati da una giuria per quanto
qualificata e non dal pubblico, che emozioni vi ha creato?
La cosa più bella è che il nostro
gruppo suona esclusivamente per il piacere di suonare, senza alcun
traguardo minimo da raggiungere o obiettivo diverso dal fare musica.
Non dimenticando che qualche elemento del gruppo ha veramente le carte
in regola per diventare qualcuno in campo musicale, e in questo senso
ci fa piacere impegnarci tutti per fare da trampolino di lancio a chi
se lo merita, ci siamo buttati in questa avventura di Folkest con lo
spirito di chi sa di aver fatto qualcosa con impegno e serietà e cerca
di proporsi a un pubblico più vasto per valutare la qualità del proprio
lavoro. L’impatto con una giuria è stato comunque emozionante e ci ha
dato la possibilità di concentrarci maggiormente sull’esecuzione dal
vivo in tutti i suoi aspetti. Ha migliorato il senso di autocritica
all’interno del gruppo, ma anche di autostima. Questa esperienza ci ha
già dato moltissimo e ci darà sicuramente nuova linfa ed energia per
portare avanti i nostri progetti.
Voi operate a cavallo fra
Italia e Slovenia. Com’è la situazione della musica dal vivo nel vostro
territorio d’azione? E quella delle produzioni discografiche?
Se da un lato le band sono cresciute
molto sia di numero che in qualità, dall’altro il riscontro a livello
di pubblico e di occasioni per esibirsi non è commisurabile. La
spiegazione sta un po’ nel fatto che i gusti degli ascoltatori spesso
non sono in linea con quelli degli esecutori. I gruppi giovanili sono
(stranamente?) molto legati al rock anni ’70 e poco capaci di essere
attuali e innovativi. Il pubblico, invece, tende ad essere molto
omologato e poco incline a scelte raffinate o di nicchia. In questo
modo si tende a sprecare anche le poche occasioni che si presentano. Ci
sono peraltro anche pochi organizzatori pronti a investire qualcosa per
permettere a gruppi emergenti di farsi sentire. E questo è un fatto non
solo economico, ma anche culturale. Con la coralità, per esempio, si
denota in generale un atteggiamento molto più accondiscendente, come se
la musica leggera sia da ritenersi comunque un gradino sotto, anche per
il solo semplice legame con una certa “rumorosità”.
Dal punto di vista discografico è
invece chiaro che il mondo sloveno è molto piccolo. Quindi le
produzioni valide da un punto di vista economico devono essere
sostenute direttamente da Lubiana, fatto che è quantomai raro per chi è
in zone periferiche. Stampare un disco è di conseguenza una possibilità
legata esclusivamente a finanziamenti pubblici. Il nostro gruppo è
stato bravo a sfruttare due buone occasioni. Ma anche in mancanza di
queste oggi, se non ci si pone il problema della redditività, si può
mettere tutto in rete e il gioco è fatto.
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